Orizzonte: Scegli la vita


Riflessione di Padre David Neuhaus sul significato della Pasqua nella nostra vita oggi.

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Orizzonte
Scegli la vita
(Deuteronomio 30,19)

Il Dizionario Cambridge definisce la parola “orizzonte” come “la linea più lontana che si può vedere dove il cielo sembra toccare la terra o il mare”. In questa Pasqua, la parola “orizzonte” mi sembra particolarmente appropriata per capire la differenza che la risurrezione di Gesù fa nella mia vita e nel nostro mondo.

La vittoria di Cristo sulla morte la troviamo per la prima volta nel Vangelo quando le donne la domenica di buon mattino si recano alla tomba. Sono venute per ungere con reverenza il corpo di Cristo che tre giorni prima era stato frettolosamente deposto in una tomba. Una pesante pietra era stata rotolata all’entrata del sepolcro, come si era solito fare, e gli ebrei, i suoi discepoli e i suoi avversari, stavano osservando il sabato. Nel silenzio del sabato, un nuovo mondo, il cui seme è stato concepito nel corpo crocifisso di Cristo, stava misteriosamente germogliando. Questo nuovo mondo è sbocciato il primo giorno della settimana, il primo giorno di una nuova creazione. E noi, discepoli di Cristo, siamo invitati in questo mondo. È di questo nuovo mondo che noi, discepoli di Cristo, dobbiamo dare testimonianza.

Mentre le donne si avvicinavano alla tomba, ancora ignare del nuovo mondo che le attendeva, dicevano tra loro: "Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?" (Marco 16,3). Ancora saldamente ancorate nel vecchio mondo, la loro ansia, tristezza e il senso di solitudine sono presenti in questa domanda. Gesù le ha lasciate sole e le donne vivono questo come un abbandono, con un profondo senso di dolore. E tutto questo porta allo smarrimento, alla confusione e alla paura quando guardando la tomba videro che il masso era già stato rotolato via. Il Vangelo di Marco conclude la scena con queste parole: “Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura” (Marco 16,8). È questo fatto che deve suscitare stupore, gioia e ringraziamento, quando le donne, le prime testimoni della risurrezione, hanno incontrato Gesù risorto.

Cosa caratterizza il vecchio mondo dal nuovo? È una domanda difficile da rispondere, perché’ noi siamo ancora troppo radicati nel vecchio. Durante l'Ultima Cena, Gesù pregò il Padre per i suoi discepoli, dicendo: “Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (Giovanni 17,15-16). In effetti, il nostro essere ancora nel vecchio mondo rende la nostra fedeltà al nuovo mondo nel quale siamo invitati da Gesù, fragile e talvolta vacillante. Il nuovo perde spesso il suo carattere specifico, i suoi contorni sono sfocati e il suo carattere distinto si dissolve perché il nostro radicamento nel vecchio oscura la luce del nuovo.

È la parola “orizzonte” che distingue il vecchio mondo dal nuovo. Mentre il vecchio mondo è soffocante, scuro e spesso senza speranza, provoca ansia e tristezza, il nuovo mondo apri orizzonti nuovi, è inondato di luce e di gioia, evoca speranza. La morte è la realtà del vecchio mondo, una realtà dove l'orizzonte è bloccato, e la risurrezione è la realtà del nuovo, dove l'orizzonte si estende al punto in cui cielo e terra si toccano.

Il corpo senza vita di Gesù fu deposto in una tomba chiusa, buia e umida. Gesù è veramente morto! Non è passato attraverso la morte o ha fatto finta di morire, è morto veramente come ognuno di noi muore. La sua morte, sepoltura e discesa nel luogo degli inferi costituiscono un elemento essenziale della sua nascita, morte e risurrezione. Nel Credo degli Apostoli recitiamo una sintesi del Triduo pasquale: “[Egli] patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; e il terzo giorno risuscitò dai morti”. Molti si sono chiesti che cosa significasse che Gesù, dopo la sua morte in croce, sia disceso agli inferi. Questo fa riferimento ai passaggi del Nuovo Testamento che parlano di una discesa nel regno dei morti dopo la morte di Cristo. La maggior parte fanno riferimento a quanto indicato in 1 Pietro 3,18-19: “Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione”. In ebraico, il luogo indicato come “inferno” e descritto come una “prigione” si chiama Sheol, la dimora dei morti.

Sheol nell'Antico Testamento è descritto come un luogo buio e soffocante, sotto terra. Nella storia terrificante di Core, Datan e Abiram, che hanno sfidato Mosè come loro capo, sono stati inghiottiti dalla terra che ha spalancato la sua bocca “e li ha inghiottiti”, portandoli agli inferi (Numeri 16,30-33). Isaia ha parlato degli inferi come un luogo di reclusione (Isaia 38,10), il Libro di Giobbe lo descrive come una prigione (Giobbe 17,16) e il salmo lo descrive come luogo di insidie (Salmo 18,5). In altri testi, Isaia ha parlato degli inferi come luogo di tenebra, una terra dimenticata (Isaia 14,9; 26,4), come nei Salmi, che lo descrivono come “le tenebre ... la terra dell’oblio” (Salmo 88,12). Salomone lo descrive come un luogo di inattività, in cui non c'è lavoro né ragione (Ecclesiaste 9,10). È un luogo di silenzio (Salmo 115,17). Più precisamente Sheol è un luogo dove non si loda Dio. “Nessuno tra i morti ti ricorda. Chi negli inferi canta le tue lodi?” (Salmo 6,5). “Poiché non gli inferi ti lodano, né la morte ti canta inni; quanti scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà” (Isaia 38,18).

Gesù sperimenta la realtà della tomba e quella dello Sheol come parte essenziale della incarnazione attraverso la quale entra pienamente nella nostra umanità. La realtà della tomba è una realtà umana che pienamente conosciamo nella morte. Tuttavia, prima di morire, noi spesso scegliamo la morte alla vita. Siamo schiavi a causa delle nostre scelte sbagliate. In queste scelte, la tomba diventa ancora più palpabile, una realtà di oscurità, peccato e paura. È questa uscita da un luogo di prigionia e schiavitù che il popolo ebraico celebra a Pasqua. La loro uscita dall'Egitto è una liberazione dalla prigione della schiavitù. La parola Egitto in ebraico (Mitzrayim) significa luogo stretto e confinato (tzar). È quindi del tutto coerente che Gesù l'Ebreo abbia scelto la Pasqua come il tempo per passare dalla morte alla vita. A Pasqua, siamo invitati a rinnovare il nostro impegno verso il nuovo mondo germogliato dalla tomba. Siamo chiamati ad uscire dalla tomba verso la vita, lasciando dietro di noi la tomba vuota.

La tomba è fatta di muri che impediscono di vedere la luce, di avere una visione, è un luogo in cui non ci sono orizzonti. Santa Teresa d'Avila ha descritto l'inferno con queste parole: “Essere in un luogo così malsano, incapace di sperare in alcuna consolazione, non ho potuto sedermi o sdraiarmi, e nella stanza non c'era alcun spazio, anche se mi hanno messo in questo buco nel muro. Quelle mura, che erano terrificanti da vedere, erano chiuse in sé stesse e soffocavano tutto. Non c'era luce, ma tutto era avvolto nel buio più nero”. La Scrittura e i Santi ci insegnano che gli inferi non sono solo una questione di destino umano. È una scelta che può portare alla stagnazione in un luogo di muri dove tutti gli orizzonti sono chiusi, oppure verso un luogo in cui l'orizzonte si apre davanti a noi.

Il mondo in cui spesso scegliamo di vivere assomiglia allo Sheol in diversi modi. I muri che costruiamo per proteggere noi stessi e per tenere fuori gli altri, il linguaggio che usiamo per definire il “noi” invece del “loro”, le risorse che spendiamo al fine di definire il “noi” e il “loro”, tutto ciò contribuisce alla creazione di una tomba, una dimora dei morti, un inferno che produce sentimenti di ansia, sospetto, paura e disperazione che ci accompagnano troppo spesso. Questo Sheol, che noi chiamiamo casa, è sempre presente come un discorso di fobia che risuona nelle nostre capitali e che alimenta un sentimento di paura.

Il vecchio mondo è spesso il nostro mondo, un mondo che incoraggia l'apatia di fronte alla miseria della nostra avidità. Quando chiudiamo la porta in faccia ai nostri fratelli e sorelle che reclamano la nostra solidarietà e assistenza, sprofondiamo nella tomba. Quando guardiamo impassibili tutti coloro che abbandonano le loro case a causa della fame e della guerra, e pietrifichiamo i nostri cuori con il sospetto e il rifiuto, prendiamo su di noi il vecchio mondo che ha crocifisso Gesù. Quando abitualmente usiamo un linguaggio che divide il mondo in “amici” e “nemici”, tradiamo un vangelo che predica l'amore e il perdono. Di conseguenza cadiamo nella disperazione dei muri di mattoni e di parole, di violenza e di rifiuto che costruiamo intorno a noi. La risurrezione rinnova la speranza. I muri si sgretolano. In un messaggio su Twitter, del 9 Febbraio 2017, Papa Francesco ha scritto “La speranza apre nuovi orizzonti e ci permette di sognare anche ciò che è inimmaginabile”. La speranza ci permette di uscire dal vecchio mondo la mattina di Pasqua!

Papa Francesco, grande apostolo del nuovo mondo, ha parlato forte e chiaro a favore del nuovo mondo nella sua omelia inaugurale come Papa il 19 Marzo 2013: “San Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio”.

Pochi mesi dopo, in visita alla tomba di Cristo, nel Maggio del 2014, Papa Francesco ha parlato della realtà di questo nuovo mondo. Il contesto è stato l'incontro con il Patriarca ortodosso di Costantinopoli. Ma le sue parole vanno al di là di questo specifico contesto. “Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi. Sarà una grazia di risurrezione, che possiamo già oggi pregustare. Ogni volta che chiediamo perdono gli uni agli altri per i peccati commessi nei confronti di altri cristiani e ogni volta che abbiamo il coraggio di concedere e di ricevere questo perdono, noi facciamo esperienza della risurrezione! Ogni volta che, superati antichi pregiudizi, abbiamo il coraggio di promuovere nuovi rapporti fraterni, noi confessiamo che Cristo è davvero Risorto!”

Quando Gesù esce dalla tomba, ci conduce verso un mondo nuovo, un mondo fatto di orizzonti aperti. Isaia contrappone questo nuovo mondo della vita a quella dello Sheol, come luogo di lode gioiosa: “Il vivente, il vivente ti rende grazie come io oggi faccio. Il padre farà conoscere ai figli la tua fedeltà” (Isaia 38,19). Nell’uscire dal sepolcro, Gesù distrugge i muri, apre le porte e gli orizzonti. Quando le pareti si dissolvono e le porte si aprono, si respira aria di libertà e si cammina a testa alta, non più schiavi. Così si compie la promessa che Dio ha fatto a Mosè: “Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e io non vi respingerò. Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo. Io sono il Signore vostro Dio, che vi ho fatto uscire dal paese d'Egitto; ho spezzato il vostro giogo e vi ho fatto camminare a testa alta” (Levitico 26,11-13).

 

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